In queste settimane si è fatto un gran parlare del possibile default degli USA e delle pesanti conseguenze che potrebbe avere sulla crescita globale. Lo “scampato pericolo” rasserena un pochino il clima, già alle prese con più di un problema.
Tra questi, la Cina si pone oggi come il grande punto interrogativo a livello globale.
L’uscita dalla pandemia (il Paese si può dire sia stato l’ultimo ad uscire dall’emergenza) lasciava pensare che l’anno in corso avrebbe consentito una forte accelerazione delle attività economiche, favorendo una rapida ripresa. Il Capodanno cinese, con centinaia di milioni di cinesi tornati “liberi”, era stato un importante banco di prova, dando corpo alle speranze.
Invece, quasi in coincidenza con quella ricorrenza (quest’anno 22 gennaio), si è interrotta la forte ripresa dei mercati, iniziata a fine ottobre 2022, con un’inversione di tendenza che ha portato i listini a perdere, quest’anno, circa il 20% (solo nel mese di maggio l’Hang Seng di Hong Kong ha ritracciato dell’8,5%, mentre a Shanghai l’indice Shanghai Composite ha perso il 3,7%.
Mentre la stragrande maggioranza del mondo si trova a combattere un nemico chiamato inflazione, il Paese del dragone è alle prese con il male opposto, la deflazione.
Da 3 mesi i prezzi, in Cina, sono in discesa. Quelli alla produzione continuano a calare da oltre 7 mesi consecutivi, con un’ulteriore accelerazione (– 3,6%) nel mese di aprile (a dire il vero anche da noi, questo mese, si è assistito ad un calo dei prezzi alla produzione di oltre 4 punti, favorito dal calo dei prezzi dell’energia).
Di contro, il PIL, pur crescendo ad un ritmo che per gli standard occidentali sarebbe da “boom” (+ 4,5%), rimane inferiore al target stabilito dal Governo (+ 5%), a sua volta ben inferiore ai livelli dell’ultimo decennio, periodo in cui era vicino al + 10%. Cosa che “gioca” a favore dell’altra grande economia dell’area, vale a dire l’India, che ha un tasso di crescita superiore al 7% e che già ha superato la Cina per quanto riguarda il numero di abitanti.
In tutto questo, l’indice PMI, che misura lo stato dell’economia, è tornato sotto il livello dei 50 punti, che sta ad indicare lo spartiacque tra espansione e contrazione economica.
Durante la pandemia, il Paese era stato colpito dalla più grande crisi immobiliare che si ricordi, con Evergrande, la seconda società del Paese nell’ambito dello sviluppo immobiliare, travolta dai debiti e con milioni di cittadini rimasti senza casa, costringendo il Governo ad intervenire più volte.
Ora, invece, a creare qualche problema è la restrizione del credito verso le famiglie e le imprese, aspetto che sta portando ad una diminuzione dei consumi, principale causa della diminuzione dei prezzi (un po’ quello che, per decenni, è avvenuto in Giappone). Nel momento in cui le autorità monetarie (peraltro non così “autonome” nelle loro scelte, come nella miglior tradizione di Pechino) dovessero tornare verso una fase espansionistica probabilmente si assisterebbe ad una ripartenza. Ma la soluzione potrebbe essere un’altra, vale a dire utilizzare la leva valutaria. Una svalutazione dello yuan, infatti, favorirebbe decisamente l’export, da sempre uno dei traini dell’economia cinese (oltre che “indicatore” dello stato di salute dell’economia globale, come dimostra il forte calo dei prezzi di alcune materie prime, come il rame , che da metà gennaio ha fatto segnare un – 17%, per non parlare del petrolio, che peraltro meriterebbe un discorso a parte, visto anche i risvolti “politici” che si celano sull’andamento delle sue quotazioni). Non a caso, nelle ultime settimane la valuta locale ha perso il 3% rispetto al $, portando al 6% la perdita di valore rispetto alla metà di gennaio.
La seduta borsistica di ieri si è chiusa con Wall Street trascinata ancora una volta dalla tecnologia, a sua volta trainata da un settore molto specifico quale l’Intelligenza Artificiale, che ha permesso a NVIDIA di aggiungersi al “club” da 1 trilione di $, vale a dire delle aziende con una capitalizzazione superiore ai $ 1.000 MD (Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet-Google). Con il + 0,40% di ieri sera, la crescita del Nasdaq ha toccato, nel solo mese di maggio, il 6,5%.
Avvio di giornata difficile per i mercati asiatici: a Tokyo il Nikkei perde l’1,41%, mentre lo Shanghai Composite ritraccia dello 0,77%. Ben più pesane lo scivolone ad Hong Kong dell’indice Hang Seng, in calo del 2,73%.
Futures ovunque negativi, con cali che in Europa arrivano in area – 0,70%, mentre negli Usa le perdite si limitano ad uno – 0,30/-0,40%.
Ieri il petrolio è andato ko, con una perdita che ha superato il 4%, che ha portato le quotazioni sotto i $ 70 (questa mattina 69,38, – 0,23%).
Gas naturale Usa a $ 2,30, – 1,33%.
Cerca la risalita l’oro, che si porta a $ 1.979,40.
Spread in leggerissimo rafforzamento a 180 bp, con il rendimento del BTP a 4,14%.
Bund a 2,33%.
Treasury a 3,67%, in calo dal 3,75% del giorno precedente.
€/$ a 1,0687.
Perde spinta il bitcoin, che torna sulla soglia dei $ 27.000 (27.152).
Ps: già 50 anni fa Lucio Battisti parlava (anzi, cantava) “dell’orario di punta”: in quel caso però con riferimento ai treni. Mai avrebbe pensato che il problema avrebbe potuto porsi anche nelle orbite spaziali. Ieri, nel momento in cui alla stazione spaziale in volo 400km sopra di noi è attraccata la navicella cinese decollata qualche ora prima dalla Mongolia, gli “abitanti” sono diventati 17, un numero mai toccato in precedenza. Da notare che tra i passeggeri c’è anche “uno di noi” (si fa per dire), vale a dire un cittadino americano che nella vita non fa il cosmonauta ma l’imprenditore, tale John Paul Shoffner. A differenziarci un piccolo dettaglio: ha sborsato la modica cifra di $ 55 ML per una settimana in cielo. La domanda è che: ma cosa farà tutto il giorno, oltre a guardare le stelle e “importunare” chi lavora…?